Biografia
Classe 1972, Sam Giovando nasce a Bra. La sua formazione è intorno alla chimica, all’innovazione, alla sostenibilità e allo studio di prodotti naturali in ambito industriale. Alla pittura si affaccia da autodidatta, ma con la stessa attitudine del ricercatore che contraddistingue tutto il suo lavoro. Sam Giovando vive a Monforte d’Alba, nel cuore delle Langhe, dove dipinge nelle pause tra i suoi frequenti viaggi di lavoro.
Intervista
A cura di Chiara Agnello, curatrice d'arte, realizzata in occasione della mostra Padroni del Tempo
Il tuo tavolo da lavoro racconta molto di te. Ci sono i tuoi colori ad olio e le tue terre organizzate in maniera scrupolosa.
La pittura ad olio è la tecnica che prediligo e con la quale ho iniziato molti anni fa, usando un set regalato a mia moglie per un suo compleanno. Ho poi scoperto il mondo dei pigmenti e ho iniziato a sperimentare usando materiali a me vicini, come le terre delle vigne, il carbone dei tralci rimasti dopo i falò delle potature invernali, la polvere di coppi e mattoni delle cascine di campagna.
Allora erano esperimenti, oggi sono parte di un processo circolare che mi radica al territorio in cui sono cresciuto e a quel sapere contadino in cui sono immerso.
L’attitudine con cui raccogli e sistemi i tuoi pigmenti in barattoli etichettati raccontano una parte importante del tuo fare.
Sono un chimico. La curiosità per i composti chimici e per i materiali ha da sempre influenzato il mio modo di guardare le cose e di approcciarmi alla pittura.
Con la stessa attitudine con cui svolgo il mio lavoro di ricercatore, ho iniziato infatti ad approfondire quanto trovavo sull’argomento, sia dal punto di vista artistico che tecnico-scientifico. I pigmenti sono stati un richiamo irresistibile.
Anche il luogo dove lavori dice molto della tua attitudine e del tempo lungo che ti prendi per ‘abitare’ le pitture.
Da qualche anno il mio studio si trova nella mansarda della nostra casa di famiglia, immersa in una natura spettacolare. Abitiamo su una collina circondata da boschi e vigneti delle Langhe, a pochi passi da un monastero benedettino del XII secolo abbandonato. Ho la fortuna di viaggiare molto per lavoro, ma è qui che torno a ricaricarmi.
C’è un altro aspetto nel tuo lavoro che è frutto di una tua passione: le immagini dipinte prendono spesso vita da una fotografia. Che relazione esiste fra questa e la pittura?
Da sempre fotografo molto. La fotografia mi ha insegnato nel tempo a fermare un istante, a definire un’inquadratura, a mettere a fuoco un dettaglio. La pittura poi mi permette di aggiungere all’immagine quello che con uno scatto non riesco a fare: le mie emozioni, il mio vissuto, le mie relazioni con il soggetto che scelgo di rappresentare.
Chi sono i protagonisti delle tue opere?
Dipingo quello che amo ed è intorno a me. Troverai tante colline, file di montagne e scorci tipici. E ancora i miei affetti, la mia famiglia. Anche nella più semplice delle composizioni, cerco di creare immagini che possano trasmettere in modo diretto una sensazione, uno stato d’animo. Ogni mio quadro nasce prima di tutto nella mia mente. A volte è più lungo il processo creativo mentale rispetto a quello concreto di produzione del quadro.
Mi dà molta soddisfazione costruire immagini nella mente e poi usare forme e colori per aggiungere un mio significato. Con la fotografia ho sempre cercato di fare la stessa cosa ma alla fine con la pittura mi è più facile.
Quali artisti hanno influenzato il tuo modo di procedere?
Sono affascinato dagli artisti del Rinascimento italiano, dall’innovazione portata da Piero della Francesca per rendere la profondità di campo sulla superficie del quadro, dal chiaro scuro di Leonardo, dai colori di Vermeer. Mi piace molto osservare l’uso del colore negli
impressionisti come Monet o nel post-impressionismo di Van Gogh, dove il gesto pittorico diventa pura emozione.
L’opera di Lucian Freud (1922-2011), pittore tedesco naturalizzato britannico nipote di Sigmund Freud, è forse fra le influenze più rilevanti, per la potenza espressiva dei suoi ritratti e per l’intensità di ogni sua pennellata. Il coinvolgimento che riesce a creare nell’osservatore mi ha davvero impressionato.
Che direzione intendi dare al tuo lavoro futuro?
Mi piace cercare di semplificare la visione del mondo, vorrei essere diretto, forte, efficace. Che sia il gigante bianco del Monviso, un paesaggio di Langa o una figura umana, cerco di ridurre la narrazione ai minimi termini per dare spazio a poche forme capaci di trasmettere emozioni. Cerco di immergere i protagonisti dei miei quadri in una visione senza tempo. Come se loro stessi fossero padroni di un tempo dilatato e sospeso. Questa è la direzione che vorrei continuare ad indagare con il mio lavoro.